In questi ultimi giorni si vede un aumento di intolleranza nella rete, luogo considerato di libertà di opinione spesso confusa con possibilità di scrivere e dire ciò che si vuole, soffocando il pensiero degli altri (e dimenticando il principio secondo cui la tua libertà termina dove calpesta la mia).
Due casi riguardano da vicino due amici, Marco Camisani Calzolari e Caterina Policaro.
Nel primo caso Marco ha predisposto una ennesima (non è la prima) ricerca sull’analisi dei follower di twitter di vari politici, iniziando con Beppe Grillo e facendo presente che – dalla sua analisi – oltre il 50% dei follower di Grillo si comportano come BOT (ossia persone che si agganciano al profilo senza scrivere e commentare). Questo fenomeno è attivo già da tempo, già dalle mailing list, i cosiddetti “lurker”: persone che si attivano un account solo per seguire ma senza mai interagire. Da qui i giornali hanno iniziato a titolare sui “falsi follower”, su “follower comprati” al punto da scatenare una vera e propria caccia all’uomo anziché rimanere nel terreno del confronto sui dati. Siamo arrivati al punto in cui Marco è stato minacciato da persone (che come sempre vengono considerate non affiliate ai vari movimenti) e a tutt’ora – nonostante una decina di miei solleciti – Beppe Grillo non ha preso le distanze da tali persone e Marco a seguito delle minacce ricevute ha chiuso tutti i presidi sociali (Facebook e Twitter in primis).
Nel secondo caso Caterina è oggetto di attacco in quanto hanno segnalato in un gruppo su Facebook che all’interno di un altro gruppo Caterina aveva preso posizione contro chi scherzava sulla sindrome di Down. E anche li via attacchi personali su pagine e profili.
Che sta succedendo? Il caldo estivo? No, purtroppo questo dimostra per l’ennesima volta che il Web è diventato per molti uno sfintere, uno sfogo per scaricarsi contro persone ed idee – spesso in branco – senza pesare le parole e le azioni. Si pensa ancora oggi, nel 2012, che nel Web non vi sia tracciabilità, che basta nascondersi dietro un nomignolo o fare azioni di massa per non essere identificati. Posso assicurarvi, visto che lavoro dalla parte del lato “buono” del Web, che così non è. Una volta per sfogarsi c’era l’arena, poi il calcio, poi i newsgroup (i più vecchi si ricorderanno le litigate in newsgroup quali it.lavoro.professioni.webmaster a cui partecipavo pure io!), poi i social media.
Quali soluzioni? Non me ne viene in mente nessuna se non di iniziare ad incrementare l’uso dei social media per servizi di qualità: partecipazione sociale (e-partecipation), condivisione di idee, discussioni secondo quei vecchi principi di netiquette sconosciuti ai “nativi digitali” e dimenticati da molti “immigrati digitali”.