Calatrava: Paolo Berro scrive a Cacciari

Anche Paolo Berro, disabile motorio esperto di ing. ed accessibilità, già Cavaliere della Repubblica e pluri-laureato (con ampio risalto stampa) scrive a Massimo Cacciari.
Riporto di seguito la sua lettera.

Caro Cacciari,

il 18 settembre a Venezia il ponte che collegherà Piazzale Roma, luogo d’arrivo e partenza dei mezzi su gomma e acqua, alla Ferrovia e alla nuova sede degli uffici della Regione Veneto, realizzato da uno dei maggiori architetti viventi, lo spagnolo Santiago Calatrava ( lo stesso cui è stata commissionata anche la realizzazione della nuova Path Station di Ground Zero a New York) dovrebbe essere stato inaugurato ma so che la data di inaugurazione è stata spostata…

Ci sono due problemi: l’ovovia, che non sarà installata prima di qualche mese e perciò assente… ed il nome, che non è stato ancora deciso.

Questo ponte è stato, infatti, da sempre criticato per la mancata attenzione progettuale da parte dell’osannato architetto spagnolo verso l’utenza con difficoltà motorie.

Il progetto del ponte di cristallo è stato in seguito ampliato con l’aggiunta di un particolare “ascensore” per risolvere una grossa falla progettuale: la mancanza di accessibilità del ponte alle persone disabili!

Fu chiesto all’architetto di trovare una soluzione, di progettare un’aggiunta, “un surrogato”: un’ovovia nascosta ai piedi del ponte all’interno di una botola che, aperta a richiesta, lascerà salire una cabina (che accoglierà al suo interno la persona disabile con accompagnatore) sostenuta da un braccio e agganciata ad un carrello scorrevole sistemato nella parte esterna del ponte.

L'ovovia

L'ovovia

Concluso l’attraversamento, le operazioni si ripeteranno per consentire il percorso inverso.

Il problema maggiore, però, nacque qualche anno fa quando si scoprì che l’architetto, nel nome della purezza delle forme, non si era minimamente posto il problema dei disabili che, giustamente, insorsero chiedendo come fosse possibile che anche il primo e unico dei ponti nuovi nascesse nell’indifferenza per chi è in carrozzina. Possibile che neppure Calatrava si fosse posto l’obiettivo di conciliare l’arte con il rispetto dei diversamente abili e Le leggi vigenti? E come aveva potuto la Commissione di Salvaguardia approvare l’opera accettando, tra le motivazioni del «no» ai «servoscala», anche quella che senza quegli infissi metallici l’opera offriva «un impatto visivo certamente migliore»?

Messo alle strette, il Comune cambiò idea e chiese al progettista di trovare una soluzione.

Calatrava, seccato per i problemi posti a lui e non ai grandi artisti del passato, inviò una lettera incredibile nella quale si dichiarava a malincuore pronto ad adeguare il progetto ma insisteva nel suggerire ai disabili «l’attraversamento orizzontale mediante vaporetto». Cioè «il superamento del canale a livello dell’acqua coordinato con i servizi dell’Actv»… (lascio ogni commento a chi legge…)

Credo che tutti siamo d’accordo sul fatto che il vaporetto non possa in alcun modo essere una soluzione accettabile, perché è necessario garantire pienamente a tutti la fruibilità del ponte stesso.

É infatti l’opera in sé che deve essere accessibile in quanto spazio, architettura, monumento, opera d’arte che deve essere vissuta dai cittadini. Il vaporetto non può essere considerato (in termini normativi) una “soluzione alternativa” poiché è evidente (come indicato dalla norma stessa) che la soluzione di progetto può individuare soluzioni alternative rispetto alle prescrizioni, ma non che il progetto debba trovare fuori del suo ambito (in questo caso in un servizio) di soluzioni per l’accessibilità.

Per quanto riguarda invece la “soluzione servoscala” chiunque potrebbe dire “piuttosto che nulla…”, certo, ma ricordiamo (tanto per dovere di cronaca) che l’installazione del servoscala non soddisfa l’accessibilità né sul piano funzionale né su quello normativo.

L’utilizzo del servoscala si configura infatti inequivocabilmente come un intervento di adeguamento di un’opera pubblica di nuova realizzazione (e quindi come una palese violazione delle leggi vigenti per il superamento delle barriere architettoniche).

Negli spazi pubblici, inoltre, il servoscala non assicura un livello di accessibilità soddisfacente!

Il suo utilizzo è limitato alle persone disabili in carrozzina e non è in grado di fornire soluzioni sicure ai problemi di accessibilità. Inoltre, nel caso del ponte in oggetto, la considerevole lunghezza del percorso e la presenza di un elevato numero di gradini con alzate e pedate variabili, faticose e fonte di pericolo, può diventare un ostacolo per le persone, ad esempio, normodotate ma con problemi motori, visivi e di affaticamento.

Negli stessi spazi pubblici il servoscala è inoltre un dispositivo stigmatizzante ed emarginante sotto il profilo psicologico, che espone e sottolinea inutilmente la condizione di disabilità delle persone che sono costrette ad utilizzarlo.

Inoltre (come Venezia ha già avuto modo di sperimentare), presenta gravi limiti sotto il profilo tecnico che lo rendono uno strumento inefficace all’atto pratico: lentezza di marcia (il nuovo progetto per percorrere una singola tratta dovrebbe impiegare ben 17 min!), marcia a “uomo presente”, guasti e necessità di frequente manutenzione, non vengono risolti operativamente (se non, in questo caso, con l’espediente dell’occultamento del meccanismo in un vano sotterraneo).

Capisco bene che la scelta di costruire un nuovo ponte per Venezia, progettato da un architetto della levatura di Santiago Calatrava, sia un atto importante ed imponente e di rilievo storico culturale, urbanistico e architettonico… – come sottolineato dall’allora Sindaco Paolo Costa – “il segno che la città è pronta a innovare, è pronta ad arricchire nella qualità della sua forma, accogliendo i segni del bello del XXI secolo”.

Condivido inoltre l’idea che tutti i cittadini, indipendentemente da problemi fisici, sensoriali o cognitivi, debbano poter sfruttare al meglio le nuove architettura ed i nuovi spazi in base a quanto sancito da anni a livello nazionale ed internazionale dalla dichiarazione dei diritti umani, dal trattato di Amsterdam, dalla dichiarazione di Madrid e da tutte quelle normative e direttive anti discriminazioni che fanno da contorno alla normativa nazionale per il superamento delle barriere architettoniche ed alla carta europea dei diritti dell’uomo.

Il famoso nuovo “ponte di Calatrava” a Venezia, che vuole essere elemento di connessione, di incontro, di scambio e di sosta di persone – quindi di punti di vista, culture, opinioni diverse – deve per forza rifarsi a tutti questi principi!

Ciò che con questa lettera vorrei comunicare è che con le critiche poste all’amministrazione comunale di Venezia non si è mai pensato di voler privare Venezia dell’opportunità di realizzare un’opera di grande rilevanza, bensì credo sia giusto e doveroso cercare di evitare che proprio il simbolo di questa rinnovata modernità diventi occasione di esclusione.

Questo progetto deve essere un chiaro segno di sviluppo e di applicazione della cultura progettuale del Terzo Millennio, un esempio che faccia dell’accessibilità e dell’inclusione i propri fondamentali principi ispiratori.

Certo, se questo ponte verrà inaugurato senza un’opera (”almeno”) parallela accessibile funzionante per persone con disabilità, questo “ponte del nuovo millennio” verrà ricordato come un’opera solamente discriminatoria!

L’Accessibilità deve essere considerata un criterio, un parametro imprescindibile di progettazione fin dalle prime intuizioni del progettista, come richiesto anche dalla normativa stessa. Adottare questo concetto permette di dare corpo a quella “cultura dell’integrazione” (o meglio “dell’inclusione”) da anni sostenuta e voluta a livello nazionale, europeo ed extraeuropeo.

Il quarto ponte di Venezia

Il quarto ponte di Venezia

Risulta quindi paradossale che nel terzo millennio, in Italia (attualmente il Paese con il maggior numero di anziani), a Venezia (città prettamente pedonale, patrimonio mondiale), un architetto contemporaneo della levatura di Santiago Calatrava (che altrove ha dimostrato di saper brillantemente realizzare la piena accessibilità) abbia progettato e abbia avuto l’autorizzazione alla costruzione di un’opera inaccessibile, tanto esteticamente apprezzabile quanto inaccettabile dal punto di vista normativo.

Cosa dice la legge?

Iter di approvazione: ogni progettista deve presentare – unitamente al progetto – una dichiarazione di conformità in cui autocertifica il rispetto alla normativa vigente in materia di progettazione accessibile (DM 236/89 per gli edifici privati e privati aperti al pubblico, DPR 503/96 per gli edifici, gli spazi e i percorsi pubblici). Dovrebbe dunque esistere la dichiarazione di conformità del progetto del ponte. Al Comune (peraltro anche committente) spetta infine di effettuare i controlli previsti.

Percorsi o edifici: la normativa vigente non si riferisce solo ad edifici, ma anche a percorsi pedonali e quindi al superamento dei dislivelli. Tale indicazione è ancora più evidente in materia di percorsi pubblici.

Servoscala: il DM 236/89 ammette l’impiego di servoscala solo in caso di edifici e realizzazioni antecedenti all’entrata in vigore della norma.

Finanziabilità: secondo la Legge 41/86 (art. 32, comma 20), Stato ed Enti Pubblici non possono erogare contributi o agevolazioni per la realizzazione di progetti che non rispettino le disposizioni in materia di progettazione accessibile. Nel caso del progetto in questione, potrebbero esservi pertanto gli estremi di un ricorso presso la Corte dei Conti.

Come se non bastasse, nel corso di una prova serale qualche settimana fa, i tecnici del Comune hanno accertato problemi per chi transita sul ponte : a causa di un effetto ottico generato dalla combinazione della luce bianca (i fari di illuminazione aggiuntivi posizionati dal Comune per garantire maggiore “visibilità” dell’area pedonale, come dichiarato dall’assessora Rumiz) e il suo riflettersi sui gradini di pietra e vetro, qualsiasi persona può incorrere in rovinose cadute notturne.

E’ l’ennesimo problema del ponte, ma ancor più sconcertanti sono alcune dichiarazioni dell’ing. Salvatore Vento, che segue i lavori per conto del Comune. Ecco un paio di perle:

“Dopo l’apertura del ponte vedremo quali saranno i punti critici.”

“Bisognerà prima fare una casistica sui punti dove la gente è in difficoltà a transitare e quali sono i punti di maggior rischio caduta”

Qual’è, quindi, il problema, caro Cacciari?

Il problema è che era stata prevista per il 18 settembre l’inaugurazione di un’opera inaccessibile, ovvero Le si avrebbe chiesto di dare il benestare all’apertura di un’opera che per diversi mesi non avrebbe potuto essere accessibile alle persone con disabilità motorie.

Sorvolando eventuali problematiche legali relative alla progettazione non accessibile, colgo l’occasione per chiedere pubblicamente a Lei, Sindaco, di chiedere notizie a riguardo e di spostare l’inaugurazione SOLO ad opera realmente completa ed ultimata (anche se il ponte verrà comunque aperto tra qualche giorno senza essere accessibile!) ed accessibile a tutti.

Un ponte è di fatto una struttura che consente il passaggio di persone da una sponda all’altra: come possiamo inaugurare un’opera che non consente a tutti la possibilità di utilizzarlo?

Senza l’ovovia al momento è il ponte, insieme all’amministrazione stessa, ad essere disabile!

Rimangono comunque ancora aperte due questioni alle quali non trovo risposta…: un’opera pubblica può essere dichiarata agibile se non è completamente accessibile a tutti (ovvero se non rispetta le vigenti normative in materia di barriere architettoniche)?

E poi: non abbiamo talenti italiani ai quali poter offrire l’opportunità di sviluppare un progetto di tale spessore?

Distinti saluti
Paolo Berro