Nel Gazzettino di Venezia di giovedì 28 agosto 2008 è pubblicata una lettera del Procuratore Generale della Repubblica di Venezia Ennio Fortuna in cui si analizza la problematica del ponte. Per completezza riporto l’intero testo (gli archivi on-line de “Il Gazzettino” non durano più di un mese… ed è un contributo importante che non può andar perso).
Leggo un po’ stupito e un po’ preoccupato da una località di vacanze dove mi trovo che il Comune rinuncia (o rinvia, non è ben chiaro) alla cerimonia di inaugurazione del ponte innominato, o ancora senza nome, l’opera ormai celebre di Santiago Calatrava. Il nome non è un problema, e comunque sarebbe stato trovato in qualche modo (S. Chiara, S. Lucia, Dò Sante, delle Concordia o della Discordia, e così via, l’uno vale l’altro). Il problema vero è la mancanza di un’adeguata struttura che renda accessibile il ponte anche ai disabili. Se ho capito bene, il Comune, vista la loro opposizione, intende aprire il ponte al pubblico senza cerimonie di alcun tipo, rinviando il tutto a quando sarà realizzata e messa in opera la famosa ovovia, in grado di trasportare i disabili da una parte all’altra del ponte in diciassette minuti (dico 17 minuti, un’assurda enormità). L’ovovia non serve a nulla, è evidente a tutti. Nessuno la userà, come a Venezia negli altri ponti quasi nessun disabile usa le apposite, costosissime strutture.
Nel caso del quarto ponte a maggior ragione l’ovovia non sarà usata, anche per il tempo, quasi incredibile, necessario per attraversarlo.
Certo, il Comune si imbarcato in un’impresa paradossale. Ha accettato e ratificato un progetto che non prevedeva un’adeguata struttura per disabili, ignorando la legge che invece la impone tassativamente. E, secondo me, non basta la rinuncia alla cerimonia. Il ponte non potrebbe essere usato senza la struttura per disabili, anche se l’ovovia è inutile. Occorrerebbe rinviare il tutto a quando sarà pronta e collaudata la struttura che però non sarà usata da nessuno. Per quanto assurdo, è questa la situazione in cui si è cacciata la nostra città.
Il ponte è però bellissimo e, secondo me, anche utile.
Prendo atto dell’opinione contraria di tanti personaggi, veneziani e no. Non mi meraviglia, e, in un certo senso è bene che vi siano dei detrattori, anche autorevoli. È sempre stato così nelle città d’arte quando si progetta un’opera nuova. Non si può certo realizzarla secondo lo stile prevalente tradizionale della città. Che senso avrebbe?
E poi a Venezia un’opera ultramoderna, di taglio contemporaneo, come è il quarto ponte non guasta affatto. Anzi con il tempo si integrerà perfettamente con i panorama. Anche il ponte di Rialto, a suo tempo, fu aspramente contestato, ma oggi è l’opera simbolo di Venezia più della Fenice, più del palazzo Ducale e di San Marco.
Il dissenso e le polemiche seminano un po’ di sale, e vanno quindi benissimo, vivacizzano.
Se non ci fossero, significherebbe che la città è morta. Per fortuna non è così. Ma che cosa si può fare per venire a capo di una situazione apparentemente senza via d’uscita? Un ponte oggi senza struttura per disabili e in seguito con una struttura assolutamente inutilizzata? Il rimedio a me appare ovvio e anche banale.
La proibizione della legge è superabile solo con un altro atto legislativo. In pratica occorrerebbe chiedere una deroga al governo che potrebbe provvedervi con un decreto d’urgenza, condizionandolo eventualmente al rilascio di biglietti gratuiti per il vaporetto che in pochi minuti effettua lo stesso, identico percorso. Altrimenti occorrerebbe attendere il collaudo dell’ovovia, ma poi consentire comunque ai disabili, anche non veneziani, l’uso gratuito del vaporetto o di altro mezzo acqueo, altrimenti saremo punto ed a capo.
Sarà meglio per tutti, anche per i disabili, che se lo vorranno potranno usare l’ovovia, ma, in caso contrario, potranno recarsi alla stazione via acqua. Si sarebbe dovuto fare dal tempo, ma meglio tardi che mai.
La città ha già speso troppo e ormai il ponte è finito e va quindi utilizzato. La cosa peggiore sarebbe avere un’opera bellissima, costata tantissimo, ma inutilizzabile e di fatto inutilizzata.
Anche le opere come le polemiche devono avere una fine. Nell’interesse di tutti.