Internet: ignoranza, inesperienza oppure…

urloIn questi giorni di caldo estivo si leggono sempre più notizie che portano ad una mia vecchissima teoria, esposta in tempi non sospetti al Webbit 2002: la rete è un ottimo strumento ma per utilizzarlo bisogna conoscerlo e bisogna farci esperienza.
In questo caso mi piace citare una frase di Tim Berners-Lee:

The Web is more a social creation than a technical one. I designed it for a social effect – to help people work together—and not as a technical toy. The ultimate goal of the Web is to support and improve our web-like existence in the world.

E gli effetti sociali li sta chiaramente portando con chiaramente chi tende a promuoverne l’uso sociale ed etico, chi vuole ottenerne dei benefici economici, chi vuole controllare la diffusione di contenuti. E su questo ultimo punto rientra la polemica di questi giorni sul ricorso all’antitrust della Fieg contro lo “strapotere” di google che (sic!) non spiega quale algoritmo utilizza per visualizzare gli articoli all’interno di google news e che (ri-sic!) porta via traffico pubblicitario ai quotidiani.
Su quest’ultima affermazione sono saltato sulla sedia. Da quando esiste la rete, in particolar modo il cosiddetto Web 2.0, si utilizzano tecnologie per condividere le informazioni: la forza della rete sta proprio nella condivisione delle informazioni, con utenti (privati, editori, ecc.) che rendono disponibili dei contenuti (globalmente o parzialmente) secondo specifiche tipologie di licenze, proprio al fine di raggiungere target eterogenei e in settori che non potrebbero raggiungere direttamente con il proprio sito Web. I giornali sono stati i primi a pubblicare nei siti Web gli RSS per essere raggiunti tramite periferiche (palmari) o applicazioni (feed reader) differenti dal classico browser, nonché per essere promossi da altri siti con finalità di portare chiaramente traffico alle pagine. Ed ora invece? Ora dicono a google: smettila di farci pubblicità (gratuita) perché così ci porti via traffico (sic!): come dire al giornalaio di togliere gli “strilloni” perché leggendo i titoli la gente non compra il giornale. Ora le cose sono due: o effettivamente la gente legge solo i titoli e non legge gli articoli, oppure qualcosa non torna.
Google ha quindi dovuto spiegare in modo semplice come funziona la pubblicazione di contenuti nella sezione news.

Primo, l’obiettivo di Google News è sempre stato quello di mettere a disposizione prospettive diverse su una notizia e di portare i lettori di tutto il mondo sui siti degli editori. Noi non visualizziamo le notizie nella loro completezza, piuttosto il nostro approccio è simile a quello che adottiamo per la ricerca su web: mostriamo semplicemente il titolo della notizia, una o due righe di testo e poi il link al sito dell’editore. Insomma, giusto le informazioni utili perché il lettore sia invogliato a leggere l’intero articolo. Una volta che l’utente fa click sul link e viene reindirizzato all’articolo, sta all’editore decidere come trarre profitto dal contenuto. Il giornale può scegliere se far pagare il lettore per accedere all’intero articolo oppure può ospitare pubblicità sul proprio sito.

Vi è poi un altro caso nella cronaca degli ultimi giorni legato alla pubblicazione di messaggi razzisti in una pagina di Facebook aperta utilizzando un finto account (fake) corrispondente ad una sezione di un noto partito politico. La stampa nazionale, anziché concentrarsi sulla problematica del furto d’identità, si è concentrata all’effetto “fishing” da parte dell’autore verso nomi di politici di rilevanza nazionale, catturati dalla smania di dare amicizia a chiunque su facebook e quindi considerati sostenitori di questo messaggio razzista. Anche questo non è un caso isolato: ci sono parecchie personalità che si sono viste “rubare” l’identità in sistemi social quali twitter e facebook, considerando che ancora oggi sono disponibili degli account di ministri che – purtroppo – non sono altro che fake a cui si sono però “abbonate” testate giornalistiche, sedi di partito, ecc.
Alla fine del discorso la domanda da porsi è la seguente: internet è uno splendido strumento di comunicazione ma che ha cambiato il modo di vivere e i rapporti sociali tra le persone. I suddetti casi però dimostrano come una non competenza nell’uso degli strumenti e una “ingeniutà operativa” (ovvero ripetere le operazioni con il classico comportamento della scimietta da laboratorio) possano creare non pochi problemi e fraintendimenti.

Questione di fibra

fibra
In questi giorni ci si scatena con la fibra ottica, con la corsa a chi ce l’ha più grossa (la banda) tra Milano e Roma senza scordare che anche Venezia si sta muovendo in questa direzione, come dichiarato in una recente intervista del vicesindaco Michele Vianello nel video che segue, in cui si propone di portare la fibra direttamente nelle case dei veneziani.

Si tratta quindi ora non tanto di connettività ADSL o Wi-fi, quando una “questione di fibra”: portare direttamente la fibra ottica nelle case dei cittadini significa portare non solo internet ma tutta una serie di servizi (televisivi, ma non solo) che possono aiutare anche le aziende a crescere “culturalmente”.
Se poi pensiamo che in Giappone si sta testando una fibra ottica da 30 Terabits/sec. (ovvero possibilità di trasferire contenuti pari a 720 DVD con video da 2 ore cadauno al secondo), è chiaro che – ancora una volta – il futuro passa dal cavo…
Chi dovrà pensare alla cablatura delle città dovrà farlo con ottica futurista: i veneziani ricordano come l’ing. Miozzi a suo tempo veniva deriso quando progettò il ponte littorio (ora ponte della libertà) così largo perché, a quel tempo, non c’era una diffusione delle auto come oggi…

Il NIC italiano si rifà il look… inaccessibile

Noto oggi che il NIC si rifà il look, con una grafica molto “gommosa”, menu a comparsa, effetti pirotecnici. Già il sito precedente soffriva di problemi di accessibilità (il NIC, ricordo, è presso il CNR, quindi soggetto all’applicazione della legge 4/2004) in particolar modo il CAPTCHA che non consentiva ai non vedenti di poter interrogare il database dei nomi a dominio.
Il nuovo sito mantiene questa problematica e ne introduce di nuove: non sto a dettagliarle in quanto, scusatemi la franchezza, ma mi son stufato – dopo aver pubblicato manuali e manuali – a fornire gratuitamente indicazioni alle PA che dopo 4 anni dall’entrata in vigore dei requisiti di legge dovrebbero conoscerli a memoria…
Basta leggere la dichiarazione di accessibilità pubblicata nel sito del registro per capire come – purtroppo – non vi sia ancora chiaro l’obbligo di applicare una legge ma si continuano ad utilizzare sistemi di pubblicazione di contenuti spesso inidonei e a dichiarare livelli di conformità alle WCAG 1.0 (in questo caso dichiarano livello “AA”).