Corriere.it discrimina gli utenti?

Corriere.it non consente accesso gratuito ad articoli pubblicati nel sito Web

Una volta tanto non parlo di discriminazione di disabili ma di una – a mio avviso – discriminazione verso utenti con periferiche mobili da parte del Corriere della Sera.

Come molti utenti, al mattino utilizzo google news per informarmi su notizie e fatti che poi condivido nei canali social (twitter e facebook), portando quindi discussione, condivisione e traffico agli articoli citati. Ciò avviene per tutti i quotidiani on line, ovvero quei quotidiani e fonti di notizie che condividono completamente degli articoli all’interno dei propri siti Web. E ciò avviene anche con corriere.it, utilizzando un normalissimo personal computer.

I problemi sorgono però quando si accede a google news con una periferica mobile (dal classico tablet al cellulare): google rende disponibili titoli e link agli articoli pubblicati sul Web ma, seguendo i link, corriere.it reindirizza ad una pagina in cui si informa che “il contenuto è disponibile solo per gli utenti abbonati a corriere mobile“. Viene poi richiesto di inserire il proprio numero di cellulare per info sull’abbonamento a corriere mobile o per accedere al contenuto se si è già abbonati.

Ma come? Posso capire la richiesta di abbonamento per la versione completa del quotidiano cartaceo via Web, ma qual è il motivo per cui un utente dovrebbe pagare per accedere da Web mobile agli stessi contenuti disponibili nelle normali pagine Web del sito del Corriere? Qualcuno potrebbe dire: nella versione mobile non hai pubblicità, quindi è giusto che paghi qualcosa. Beh, peccato che la versione mobile consente di passare alla versione “tradizionale” tramite un link che – quantomeno sul mio tablet android – non attiva alcuna versione “web tradizionale” ma reindirizza sempre alla versione mobile.

Bug? Che altro? Ho comunque segnalato il problema al servizio assistenza delle news di google.it in quanto se un quotidiano non consente l’accesso alle periferiche mobili di articoli pubblicati liberamente nel Web non dovrebbe nemmeno essere accessibile alla versione mobile di google news.

Chiaramente il problema l’ho segnalato anche a corriere.it tramite twitter in attesa, fiducioso, di una risposta.

Internet: ignoranza, inesperienza oppure…

urloIn questi giorni di caldo estivo si leggono sempre più notizie che portano ad una mia vecchissima teoria, esposta in tempi non sospetti al Webbit 2002: la rete è un ottimo strumento ma per utilizzarlo bisogna conoscerlo e bisogna farci esperienza.
In questo caso mi piace citare una frase di Tim Berners-Lee:

The Web is more a social creation than a technical one. I designed it for a social effect – to help people work together—and not as a technical toy. The ultimate goal of the Web is to support and improve our web-like existence in the world.

E gli effetti sociali li sta chiaramente portando con chiaramente chi tende a promuoverne l’uso sociale ed etico, chi vuole ottenerne dei benefici economici, chi vuole controllare la diffusione di contenuti. E su questo ultimo punto rientra la polemica di questi giorni sul ricorso all’antitrust della Fieg contro lo “strapotere” di google che (sic!) non spiega quale algoritmo utilizza per visualizzare gli articoli all’interno di google news e che (ri-sic!) porta via traffico pubblicitario ai quotidiani.
Su quest’ultima affermazione sono saltato sulla sedia. Da quando esiste la rete, in particolar modo il cosiddetto Web 2.0, si utilizzano tecnologie per condividere le informazioni: la forza della rete sta proprio nella condivisione delle informazioni, con utenti (privati, editori, ecc.) che rendono disponibili dei contenuti (globalmente o parzialmente) secondo specifiche tipologie di licenze, proprio al fine di raggiungere target eterogenei e in settori che non potrebbero raggiungere direttamente con il proprio sito Web. I giornali sono stati i primi a pubblicare nei siti Web gli RSS per essere raggiunti tramite periferiche (palmari) o applicazioni (feed reader) differenti dal classico browser, nonché per essere promossi da altri siti con finalità di portare chiaramente traffico alle pagine. Ed ora invece? Ora dicono a google: smettila di farci pubblicità (gratuita) perché così ci porti via traffico (sic!): come dire al giornalaio di togliere gli “strilloni” perché leggendo i titoli la gente non compra il giornale. Ora le cose sono due: o effettivamente la gente legge solo i titoli e non legge gli articoli, oppure qualcosa non torna.
Google ha quindi dovuto spiegare in modo semplice come funziona la pubblicazione di contenuti nella sezione news.

Primo, l’obiettivo di Google News è sempre stato quello di mettere a disposizione prospettive diverse su una notizia e di portare i lettori di tutto il mondo sui siti degli editori. Noi non visualizziamo le notizie nella loro completezza, piuttosto il nostro approccio è simile a quello che adottiamo per la ricerca su web: mostriamo semplicemente il titolo della notizia, una o due righe di testo e poi il link al sito dell’editore. Insomma, giusto le informazioni utili perché il lettore sia invogliato a leggere l’intero articolo. Una volta che l’utente fa click sul link e viene reindirizzato all’articolo, sta all’editore decidere come trarre profitto dal contenuto. Il giornale può scegliere se far pagare il lettore per accedere all’intero articolo oppure può ospitare pubblicità sul proprio sito.

Vi è poi un altro caso nella cronaca degli ultimi giorni legato alla pubblicazione di messaggi razzisti in una pagina di Facebook aperta utilizzando un finto account (fake) corrispondente ad una sezione di un noto partito politico. La stampa nazionale, anziché concentrarsi sulla problematica del furto d’identità, si è concentrata all’effetto “fishing” da parte dell’autore verso nomi di politici di rilevanza nazionale, catturati dalla smania di dare amicizia a chiunque su facebook e quindi considerati sostenitori di questo messaggio razzista. Anche questo non è un caso isolato: ci sono parecchie personalità che si sono viste “rubare” l’identità in sistemi social quali twitter e facebook, considerando che ancora oggi sono disponibili degli account di ministri che – purtroppo – non sono altro che fake a cui si sono però “abbonate” testate giornalistiche, sedi di partito, ecc.
Alla fine del discorso la domanda da porsi è la seguente: internet è uno splendido strumento di comunicazione ma che ha cambiato il modo di vivere e i rapporti sociali tra le persone. I suddetti casi però dimostrano come una non competenza nell’uso degli strumenti e una “ingeniutà operativa” (ovvero ripetere le operazioni con il classico comportamento della scimietta da laboratorio) possano creare non pochi problemi e fraintendimenti.